

L’amore per la saggezza - Esempi di vita ed esercizi spirituali dei filosofi dell’antica Grecia - Parte 1: L'oracolo di Delfi - di Luciano Silva
Passando per Delfi – un oracolo mai spento.
30/06/2022
Questo contributo, riveduto e corretto, è stato estratto da un libro che scrissi nel 1995 sugli esercizi spirituali degli antichi filosofi greci dal titolo “L’amore per la saggezza – Esempi di vita nella Grecia antica” dedicato ai principali filosofi dell’antica Grecia e alla loro spiritualità. Il libro non fu mai dato alle stampe nella sua versione completa ma alcuni estratti furono pubblicati in Italia negli anni 1996 e 1997 dalla rivista di studi tradizionali “Mos Maiorum”. Tutti i diritti sono riservati. Luciano Silva.
“γνῶθι σαυτόν, gnōthi sautón”
“Conosci te stesso”
(Iscrizione sul tempio di Apollo a Delfi)
"Hic optime manebimus". Così pare abbia proferito Apollo appena Delfi fu sua. È qui, nella regione della Focide, nel cuore della Grecia continentale, situato sulle pendici meridionali del monte Parnaso, che il dio in figura di delfino (delphis) ricondusse dei naviganti cretesi al loro ineluttabile destino: di lì a poco sarebbero diventati i sacerdoti del tempio delfico, sede dell'oracolo più famoso dell’antichità.
Come i lupi di Licia, al tempo della sua tormentosa gravidanza, difesero sua madre Leto con il loro sguardo che penetra l'oscurità; come i cigni canori che a Delo innalzarono il loro fragoroso canto annunciandone la nascita; come il gallo bianco che in quella stessa occasione alzò un grido trionfale o il cervo, sacro alla sorella Artemide, le cui corna si diramano alte ad immagine dei raggi del Sole, così un altro animale, il delfino, porta nel nome, come Delfi, il marchio vitale dell'utero della Madre Terra, forza feconda e perenne di Gaia, dal cui grembo sgorga la fonte Castalia, inesauribile sorgente parlante, a chi ha ancora il cuore aperto ad ascoltare.
Sì perché alle folle antiche dei lidi, cirenaici, etruschi e traci, che noi oggi chiamiamo turchi, libici, toscani e bulgari, si sono sostituite delegazioni ancor più nutrite e direi esotiche di cinesi, giapponesi, coreani, mescolate ad americani e africani, ben più attente a farsi fotografare sul punto più alto del capitello ormai monco e divelto, stanco a questo inusuale compito, stretti nel tempo di una visita programmata che promette cultura e divertimento assicurati a poco prezzo. Non c'è tempo per ascoltare, per percepire il richiamo che saggi filosofi dell'antichità, dopo giorni o mesi di cammino, seguirono fin qui, nell' inguine delle Fedriadi, in cerca di una conferma, di un consiglio ciel dio, di un messaggio ispiratore.
"Conosci te stesso" o "Nulla di troppo". I consigli di Apollo delfico nel profetico entusiasmo (da en-théos, con dentro dio) della Pizia, reclutata tra le vergini pastorelle del Parnaso, risuonano dall'antichità ai giorni nostri come gridi di richiamo ad un uomo ormai dimentico di sé stesso. Un minuscolo bar, all'ombra degli ulivi prospicienti il tempio di Atena Pronaia, offre gadgets e bibite a prezzi proibitivi a visitatori un po’ anonimi e distratti che le stesse eclettiche agenzie turistiche che organizzano viaggi e promuovono speranze, che si occupano di Lourdes e Fatima come delle olimpiadi invernali, hanno trascinato fin qui ad ascoltare le altrettanto anonime guide turistiche improvvisate. Settimane bianche e settimane sante. E l'oracolo tace di fronte a loro tace.
La costituzione di Licurgo, orgoglio di Sparta, scaturì per bocca del dio come incitamento all'utilizzo della filosofia come azione concreta sulla realtà, come azione trasfigurante della coscienza umana che portò in breve tempo gli spartani ad essere esempio vivente per tutti i popoli dell'Ellade. Ma col passare del tempo, l'uomo sempre più isolato nel suo falso sapere e vittima dei suo stessi miraggi, necessitò di una scossa perché la sua coscienza fosse risvegliata dal buio della caverna, come ci racconta Platone nel mito, dal torpore nel quale si era rifugiata. Ed ecco di nuovo i prophétai, i sacerdoti di Apollo Pizio, ad indicare in Socrate il più saggio degli uomini, colui che avrebbe poi maieuticamente riportato gli uomini ad uno stato di consapevolezza reale, vero, la filosofia come guarigione dell'anima, come azione concreta sulla propria coscienza.
La vista di un ragazzo, sorpreso a scaricare i suoi liquami superflui su una pianta di alloro a fianco del tempio del dio dell’arco, della cetra e ..dell'alloro, sua amante proibita, mi richiamò bruscamente alla realtà del mondo moderno. I sacerdoti del dio armati di coltelli consacrati gli avrebbero tagliato la gola con un gesto rapido e fulmineo. Ma la fila alla bancarella che distribuisce talismani, rosari, satiri itifallici, statuette improbabili di antichi filosofi e cartoline patinate è sempre lunga e ansimante. Magic shop, segno dei tempi. Il dio però non è mai morto del tutto, e modestamente, una mano gliela davo anch'io provando a tradurre le parole della Pizia in Volontà e versando il mio dono alla persistenza di una idea che, tra un tramonto e l'altro, in qualche modo sopravviveva. È il tramonto ispiratore che colse Proclo all'entrata della veneranda Acropoli, ad Atene, patria della filosofia, che lo convinse a mostrare ai suoi discepoli che ''Tutto è ricolmo di dèi" e a fare del ritorno all'UNO la meta primaria della sua vita. È l'instaurarsi di una condizione nella quale l'uomo vive l'attimo presente, coglie l'attimo, il "Carpe Diem" di oraziana memoria, nel quale la coscienza riposa tranquilla dalle angosce del passato e dai timori per il futuro, nel quale l'attenzione intesa come vigilanza dello spirito (la προσοχη stoica) raggiunge l'apice, nel quale la realtà si dispiega immediata e naturale e rivela tutta la sua verità.
La filosofia, philo-sophia, l'amore per la sapienza è, per il saggio stoico, anche e soprattutto percezione di appartenere alla totalità del cosmo, di vivere l'eternità contenuta in ogni singolo istante. Il centro del cosmo nella Grecia classica è ancora qui, a Delfi, dove una pietra scagliata dal cielo, l'Omphalos, l'ombelico del mondo, ne segnava il punto esatto. E qui, per naturale conseguenza, Apollo, dio della mantica, venne a risiedere. Pensai alla profetessa di Delfi come una di quelle donne che si incontrano ancora nelle nostre montagne, con le stesse mani ruvide di chi coltiva la terra o alleva il bestiame, con la faccia segnata dal sudore e dal malumore di una vita difficile, coi fianchi larghi e l'andatura lenta di chi è abituato a camminare in salita. Donne ormai scomparse, ammazzate dai frigoriferi, lavatrici, televisori e dalla pubblicità che impone detersivi ecologici che non screpolano la pelle, carne in scatola e mini gonne per essere alla moda.
Le ultime luci del sole e l'aria fredda dei monti riportò la presenza umana a livelli quantitativamente accettabili. Anche l'ultimo autobus, con la scritta “La via degli dèi - Tours", ridiscese col suo carico umano a valle lasciandomi solo a consiglio di Castalia, la fonte parlante, nelle cui acque la profetessa di Apollo si purificava prima del suo vaticinante responso. Il riconquistato silenzio e il rumore dell'acqua mi riportò alla mente il famoso detto eracliteo "panta rei'', tutto scorre, di una natura perennemente in movimento, fuori di-noi e dentro di noi. Il sangue mi si accelerò nelle vene, il respiro ne segnò il ritmo, il pensiero si confuse nel silenzio profondo della valle e il ricordo, simbolo divino dell'unità interiore favorita dalla concentrazione, affiorò invocando, come disse Pitagora, Mnemosyne, la dea Memoria, il cui consiglio scaturisce dalle acque di un'altra fonte parlante poco distante da qui. Curiose coincidenze e sincronicità.
Di Pitagora, ovvero di "colui che è stato annunziato dalla Pizia", maestro di straordinaria sapienza, che possedeva ricchezza di ingegno e che quando tendeva la potenza del suo spirito distingueva facilmente ognuna delle cose che sono in dieci, venti vite umane”, ci racconta Empedocle, i suoi discepoli affermavano fosse Apollo incarnato o addirittura il figlio di Apollo, o ancora un demone buono disceso tra gli uomini.
Apollo, sempre Apollo. Il dio iperboreo della luce sembrava mai abbandonarmi anche quando l'ultimo raggio di sole abbandonò definitivamente la valle ed il silenzio lasciò spazio al mio accordo più intimo, alle note della mia armonia interiore. È una musica che non finisce mai, quella in cui esprimiamo il nostro essere nel mondo. Una musica che per molti attende ancora di essere percepita e suonata.
Non possiamo perdere altro tempo.
Cosa c'è nella vita di più importante di essere ciò che si è?
Buon ascolto.
Luciano Silva
Passando per Delfi, estate 1995
NOTA:
L'indice completo dei vari capitoli, ciascuno dedicato agli esercizi spirituali e alla vita dei vari filosofi, lo trovi qui (con il link diretto al capitolo pubblicato nel presente sito). Tutti i diritti sono riservati.
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