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Articoli e interviste su sciamanesimo e tensegrità Articoli e interviste su sciamanesimo e tensegrità

L’amore per la saggezza - Esempi di vita ed esercizi spirituali dei filosofi dell’antica Grecia - Parte 2: La Filosofia antica - di Luciano Silva

Philo-Sophia – L’amore per la sapienza

30/06/2022

Questo contributo, riveduto e corretto, è stato estratto da un libro che scrissi nel 1995 sugli esercizi spirituali degli antichi filosofi greci dal titolo “L’amore per la saggezza – Esempi di vita nella Grecia antica” dedicato ai principali filosofi dell’antica Grecia e alla loro spiritualità. Il libro non fu mai dato alle stampe nella sua versione completa ma alcuni estratti furono pubblicati in Italia negli anni 1996 e 1997 dalla rivista di studi tradizionali “Mos Maiorum”. Tutti i diritti sono riservati. Luciano Silva.

 

 

Vuoto è il discorso del filosofo se non contribuisce a guarire la malattia dell’anima”

(Sentenza epicurea)

 

 

 

 

Sul concetto di filosofia

L'opinione che oggigiorno si ha del filosofo è di colui che vive un po’ astrattamente, con la testa tra le nuvole, intelligente sì ma che non si intende di cose pratiche, che fa bei discorsi ma lontani dai problemi del vivere quotidiano. A ben vedere se volgiamo lo sguardo alla nostra antichità classica, a coloro che per primi furono definiti "filosofi", da Talete agli stoici romani, emergono figure che tutt'altro erano che allampanati pensatori di cose astratte e vane.

Talete, uomo piuttosto solitario, taciturno, barba lunghissima e vegetariano, accusato di occuparsi di cose inutili di scarso interesse pratico, utilizzò le sue conoscenze per prevedere una abbondante raccolta di olive in pieno inverno assicurandosi nel frattempo il controllo di tutti i frantoi. Dopo la raccolta tutti ebbero bisogno di spremere le olive perché non sapevano come conservare un raccolto cosi abbondante; così Talete poté far pagare la spremitura a prezzo di monopolio. Talete inoltre fissò la durata delle stagioni e dell'anno solare, previde una eclisse di sole (585 AC), introdusse l'inumazione dei morti, fu matematico ed astronomo.

Spesso legislatori, i filosofi antichi incarnavano il ritratto del sapiente, un po' come i guru indiani o gli asceti; da cui appunto il termine filo-sofo, ossia amante della σοφία, la sapienza. Per loro questa sapienza veniva a coincidere con uno stato dell'essere al quale l'uomo naturalmente tende ed al quale è inevitabilmente destinato ma che viene spesso ignorato e frainteso dato il livello di inconsapevolezza al quale si è ridotto in questi tempi ultimi. Uno stato che gli dèi ontologicamente posseggono, dèi che i filosofi assurgono come modello per l'agire umano affinché questi possano guidarci nel nostro cammino di crescita interiore.

Per questo Platone ci dice che tale stato non è umano, nel senso ordinariamente inteso, ma uno stato di perfezione dell'essere e della coscienza che può essere soltanto divino.

Sì, perché da Talete a Proclo, tutti hanno ripetuto che ovunque ci sono presenze divine che animano e guidano la realtà. Il fine della filosofia è quindi anzitutto accrescere quella sensibilità all'interno dell'uomo affinché queste presenze possano essere sentite, percepite ed onorate affinché si possa entrare in contatto con esse imparando ad apprendere dai loro consigli e dalle loro azioni. Lo stato normale e naturale degli uomini è quindi quello della saggezza che non è nient’altro che la visione delle cose quali esse sono, la visione del cosmo quale è alla luce della ragione e del cuore. Uno stato che gli antichi sapevano difficile da mantenere stabile e definitivo, ma che si sperava almeno di raggiungere in certi momenti privilegiati di estasi o di profonda meditazione. La sapienza e la saggezza diventavano così la norma trascendente che dirigeva l'azione, il comportamento umano. L'esigenza naturalmente insita nell'animo umano di tendere asintoticamente verso la saggezza veniva lentamente indirizzata proprio da coloro che, agli occhi dei discepoli, erano immagine vivente e simbolo di quello stato trascendente che dogmi, regole di vita, esercizi spirituali portavano gradatamente a conquistare, seppure non si dichiarassero sapienti. Socrate disse ripetutamente di sé: "Non so che una cosa: che non so nulla".

 

La filosofia come esercizio della ragione e dello spirito

La sapienza però non fa solo conoscere, fa essere diversamente. L'adesione ad una scuola nella Grecia antica non comportava solo un cambiamento del pensiero, della propria visione del mondo ma esigeva una conversione radicale, una trasformazione totale della maniera di essere. Tutte le scuole concordavano nell'ammettere che l'uomo, prima della conversione filosofica, si trova in uno stato di inquietudine infelice, che è vittima della cura, delle preoccupazioni, lacerato dalle passioni, che non vive veramente, che non è se stesso.

Tutte le scuole concordano altresì nel ritenere che l'uomo possa essere liberato da questo stato, che possa accedere alla vera vita, migliorare, trasformarsi, raggiungere uno stato di perfezione.

La conditio sine qua non però è proprio una con-versione, letteralmente un cambiamento di direzione. Ed è proprio questa rottura con quello che gli scettici chiamavano βίος (bios), vale a dire la vita quotidiana ordinaria, fece sì che i filosofi dell'antichità apparivano quanto meno come gente bizzarra, se non pericolosi comunque un po' strani.

Già Socrate nei dialoghi platonici era detto άτοπος (atopos), ossia "inclassificabile". Certo che difficilmente passava inosservato quando passeggiava per le vie di Atene sempre con lo stesso mantello consumato, d'estate e d'inverno, sempre scalzo a piedi nudi sul ghiaccio mentre tutti erano imbacuccati ed imbottiti di feltro per resistere al gelo. Certamente strano poteva apparire Diogene a colui che vedendolo di giorno andarsene in giro con una lanterna accesa gli domandasse “Cosa stai cercando?” e si sentì rispondere: ”Cerco l'uomo”, intendendo colui che avrebbe una meta altissima ma si dedica a tutto fuorché a ciò che lo fa grande. Strano anche quel platonico romano, il senatore Rogaziano, discepolo di Plotino, che lo stesso giorno in cui dovette assumere le sue funzioni di pretore, rinunciò alle sue cariche, abbandonò tutti i suoi beni, emancipò i suoi servi e non mangiò più che un giorno su due. Strani anche quegli stoici romani che amministravano in maniera disinteressata le provincie dell'impero loro affidate e che furono i soli a prendere sul serio le prescrizioni delle leggi emanate contro il lusso.

Per uomini siffatti la vita quotidiana, così come è organizzata e vissuta dagli altri uomini solo attenti al soddisfacimento dei bisogni primari, quelli del corpo, al contrario dovettero necessariamente apparire come anormale, come uno stato di follia, di incoscienza, di ignoranza della realtà. Il perenne conflitto tra il tentativo del filosofo di vivere coerentemente con la propria visione della vita e la visione convenzionale di questa su cui poggiava la società umana, portò nelle varie scuole soluzioni differenti: dalla rottura totale dei cinici all’accettazione delle convenzioni sociali degli scettici. Altri, come gli epicurei, proveranno a ricreare tra loro una vita quotidiana conforme all'ideale della saggezza; agli stoici, infine, la scelta di vivere "filosoficamente" la vita quotidiana e persino la vita pubblica, a prezzo delle più gravi difficoltà. Per tutti, comunque, la vita filosofica sarà un tentativo di vivere e pensare secondo la norma della saggezza, non solo attraverso l'assimilazione dei dogmi fondamentali e delle regole di vita della loro specifica scuola, ma anche e soprattutto, tramite esercizi della ragione e dell'anima volti a verificare il progresso spirituale raggiunto. È in quest'ottica che i caposcuola della Stoà antica ritenevano che un filosofo potesse essere anche analfabeta, perché per essere filosofi bastava conoscere il libro che deve essere scritto e letto quotidianamente all'interno di se stessi, con la propria fatica ed i propri sforzi per progredire. Il fine è dunque sempre lo stesso, il miglioramento, la realizzazione di sé. I mezzi impiegati differenti per ogni scuola, comunque esercizi spirituali che insegnano a vivere non in modo conforme ai pregiudizi umani ed alle convenzioni sociali (poiché la vita sociale è essa stessa un prodotto delle passioni) ma conformemente alla natura dell'uomo. Tutte le scuole infine credono nella libertà della volontà, grazie alla quale l'uomo ha la possibilità di modificare se stesso, di migliorare e di realizzarsi.

Ciò di cui parleremo in queste pagine saranno dunque esempi di vita "filosofica". Racconteremo con aneddoti, insegnamenti interiori, esercizi spirituali, la vita di alcuni filosofi della antica Grecia, il loro modo di vivere la ricerca della sapienza. In genere gli storici della filosofia hanno prestato una attenzione piuttosto scarsa al fatto che la filosofia antica fosse anzitutto una maniera di vivere. Essi considerano in genere la filosofia limitandosi al discorso filosofico analizzandolo da un punto di vista puramente speculativo. Di fatto, se si riflette su ciò che ha implicato per taluni filosofi una scelta di vita filosofica, si avverte immediatamente come ci sia un abisso tra la teoria filosofica ed il filosofare come azione vivente.

Secondo gli stoici le parti della filosofia, ossia la fisica, l'etica e la logica, in realtà non erano parti della filosofia stessa ma parti del discorso filosofico. Volevano dire che quando si tratta di insegnare la filosofia, si deve proporre una teoria della logica, una dell'etica ed una della fisica. Le esigenze del discorso, insieme logiche e pedagogiche, obbligano a fare queste distinzioni. Ma la filosofia stessa, e cioè il modo di vivere filosofico, non è più una teoria divisa in parti, ma un atto unico che consiste nel vivere la logica, la fisica e l'etica. Allora non si fa più la teoria della logica, ossia del ben parlare e del ben pensare, ma si pensa e si parla bene; non si fa più la teoria del mondo fisico, ma si contempla il cosmo; non si fa più la teoria della azione morale ma si agisce in maniera retta e giusta. Significativa è l'immagine di Epitteto quando dice che: “L'architetto non viene a dire ‘ascoltatemi discutere dell'arte del costruire’, ma, fatto il contratto per una casa, la costruisce...Agisci anche tu in tal modo: mangia come un uomo, bevi come un uomo,...sposati, abbi dei figli, partecipa alla vita della città; sappi sopportare gli insulti, tollera gli altri uomini”. Ed una sentenza epicurea aggiunge: “Vuoto è il discorso del filosofo se non contribuisce a guarire la malattia dell'anima”.

 

Trasformazione del concetto di filosofia sino ai tempi moderni

L'origine del pregiudizio moderno di ridurre la filosofia al semplice discorso filosofico si trova nella evoluzione della filosofia stessa nel corso del medioevo e dell'età moderna, e qui il cristianesimo svolse un ruolo notevole. Inizialmente il cristianesimo, a partire dal II sec, si era presentato come una filosofia, ossia come un modo cristiano di vivere. Per presentarsi come filosofia, il cristianesimo d'altronde dovette incorporare elementi tratti dalla filosofia antica, dovette, per esempio, far coincidere il Logos del vangelo di Giovanni con la Ragione Cosmica stoica, poi con l'Intelletto aristotelico o platonico. Dovette anche integrare gli esercizi spirituali filosofici praticati sino ad allora nella vita dei neoconvertiti alla religione del Dio unico. Questo fenomeno di integrazione, che ha origine con gli scrittori cristiani del II secolo chiamati Apologisti, specialmente con Giustino, appare molto nettamente in Clemente di Alessandria. Quest'ultimo collega strettamente la filosofia con l'educazione del genere umano. Per i cristiani però i filosofi greci non hanno posseduto che particelle del Logos (Giustino) mentre i cristiani sono in possesso del Logos stesso incarnato da Gesù Cristo. Essi non consideravano il cristianesimo come una filosofia accanto ad altre, ma come “La filosofia”. Tale tendenza esclusivista ed assolutista è l'erede di una corrente che esisteva già nella tradizione ebraica, in special modo in Filone di Alessandria. Quest'ultimo presenta l'ebraismo come la filosofia tradizionale del popolo ebraico. Si ritrova lo stesso vocabolario in Giuseppe Flavio.

Più tardi il monachesimo integrerà molti degli esercizi spirituali stoici o platonici, l'attenzione di sé, la meditazione, l'esame di coscienza, l'esercizio della morte (premeditatio malorum), con la grande preoccupazione però di collegarli alla tradizione biblica ed evangelica. Tale integrazione diede di fatto dato al cristianesimo un certo stile di vita, un certo atteggiamento spirituale che non vi si trovava in origine. Tutte le componenti insite in questa religione semita che interessano un piano più profondo, esoterico, dell'essere umano sono del tutto riconducibili a tradizioni religiose precedenti alla venuta di Gesù Cristo, o trasposte e poi convertite dal politeismo greco prima e romano poi, oppure direttamente attinte all'universo misteriosofico egizio e caldeo.

L’impossessarsi, dunque, di una dimensione del tutto non congenita al cristianesimo delle origini ma fortemente presente e, diremmo sostanziale per le filosofie "pagane" del tempo, costituiva un processo graduale ma mandatorio per quella operazione di conversione delle coscienze che i primi cristiani intendevano promuovere e raggiungere con tutti i mezzi possibili. L'astio e il livore dimostrato dai primi profeti o dagli imperatori romani ormai definitivamente cristianizzati nei confronti dei pagani e dei loro luoghi di culto non fu che il primo risultato di questa operazione occulta il cui apice venne raggiunto con l'accensione dei roghi dell'inquisizione nel periodo medioevale e con lo "spirito" delle crociate. Il medioevo erediterà la concezione della vita monastica come filosofia cristiana, ossia come maniera cristiana di vivere, ma questa cessò di essere un modo di vivere, una πρᾶξις (praxi, azione pratica) per diventare una sorta di attività meramente teorica ed astratta. La filosofia da quel momento in poi fu utile solo a fornire il materiale concettuale, logico e metafisico per porre le fondamenta alla teologia.

Gli esercizi spirituali antichi non fecero più parte della filosofia ma furono completamente integrati nella religiosità cristiana: li ritroviamo negli esercizi spirituali di S. Ignazio di Loyola, la mistica neoplatonica si rintraccia nella mistica cristiana, specialmente in quella dei domenicani renani, come Meister Eckhart. Ci fu dunque un cambiamento radicale del contenuto della filosofia in rapporto alla antichità. Teologia e filosofia vengono ora insegnate nelle università che sono creature della Chiesa del medioevo. L'insegnamento non si rivolge più a uomini che si intende formare affinché siano Uomini, ma a specialisti perché imparino a preparare altri specialisti. L'università scolastica continuerà a funzionare fino alla fine del secolo XVIII e, a parte alcune rare eccezioni come Schopenhauer e Nietzsche, la filosofia rimarrà legata indissolubilmente alle università. Nella filosofia universitaria moderna evidentemente la filosofia non è più una maniera di vivere, uno stile di vita, a meno che non sia lo stile di vita del professore di filosofia!

Si potrebbe dire che ciò che differenzia la filosofia antica dalla filosofia moderna sia il fatto che, nella filosofia antica, non furono soltanto Epitteto od Epicuro ad essere considerati filosofi perché svilupparono un discorso filosofico, ma fu considerato tale ogni uomo che viveva secondo i precetti di Epitteto o di Epicuro. Un uomo politico come Catone l'Uticense venne considerato al pari di un filosofo e persino di un saggio, benché non avesse scritto nulla e nulla insegnato, ma la vita che condusse fu perfettamente stoica. Lo stesso vale per uomini di stato romani come Rutilio Rufo o Quinto Muzio Scevola che praticavano lo stoicismo mostrando un disinteresse e una umanità esemplari nella amministrazione delle province loro affidate. Non sono solo esempi di moralità, sono uomini che cercano di realizzare l'ideale della saggezza stoica, una certa maniera di essere uomini, di vivere secondo la ragione, nel cosmo e con gli altri uomini. Non si tratta solo di una questione morale, impegnato è tutto l'essere.

La filosofia antica propone all'uomo comune un’arte della vita, la filosofia moderna propone concetti con un linguaggio tecnico riservato a specialisti.

 

La filosofia come esercizio della ragione e dell'anima

Volendo qui seguire fedelmente il messaggio degli antichi non proporremo in queste pagine delle lezioni di filosofia, lasciamo questo compito ai cattedratici ed ai professori universitari ben più esperti e capaci del sottoscritto nel discorso filosofico o alla miriade di testi specialistici presenti nelle librerie. Vogliamo invece mostrare come gli insegnamenti arrivati a noi dai maestri della antichità siano dei veri e propri esercizi spirituali volti alla realizzazione nell'uomo di uno stato trascendente. La via della saggezza era un modo di vita che conduceva a tre obiettivi primari: la tranquillità dell'anima (atarassia), la libertà interiore (autarchia), la coscienza cosmica (il νοῦς).

Dice Epicuro:" ..si deve credere che della conoscenza dei fenomeni celesti...l'unico scopo è la tranquillità e la sicura fiducia". La filosofia si presentava come un metodo per conseguire l'indipendenza, la libertà interiore, lo stato in cui l'Io non dipende che da se stesso. Questo tema lo si trova in Socrate, nei Cinici, in Aristotele, in Epicuro e negli stoici. Nell'epicureismo e nello stoicismo a queste disposizioni fondamentali si aggiungeva la coscienza cosmica ossia la coscienza di fare parte del cosmo sentita come una dilatazione dell'Io nell'infinità della natura universale. Dice Metrodoro, discepolo di Epicuro: "Ricordati che, sebbene tu sia mortale e non abbia che una vita limitata, tuttavia ti sei elevato con la contemplazione della natura, fino all'infinità dello spazio e del tempo, e che hai visto tutto il passato e tutto il futuro". E Marco Aurelio aggiunge che: “L'anima percorre il cosmo intero e il vuoto che la circonda e si estende nell'infinità del tempo infinito e abbraccia e pensa la rinascita periodica dell'universo”.

In ogni istante il saggio antico ha coscienza di vivere nel cosmo e si mette in armonia col cosmo. Questo significava anche rapportarsi con gli altri uomini, con la società. La filosofia antica presupponeva uno sforzo comune, una comunità di ricerca, di aiuto reciproco, di sostegno spirituale, ma soprattutto i filosofi, e infine persino gli epicurei, non rinunciarono mai ad agire nelle città, a trasformare la società, a rendere servizio ai loro cittadini.

Questo fu proprio ciò che fece, ad esempio, Licurgo a Sparta.

 

Luciano Silva

 

Bibliografia

  • Hadot, "Esercizi spirituali e filosofia antica", Einaudi, 1988
  • Diogene Laerzio, "Vite dei filosofi", Laterza, 1987
  • I Presocratici - testimonianze e frammenti", Tomo I e II, Laterza

 

NOTA:

L'indice completo dei vari capitoli, ciascuno dedicato agli esercizi spirituali e alla vita dei vari filosofi, lo trovi qui (con il link diretto al capitolo pubblicato nel presente sito). Tutti i diritti sono riservati.

  1. Parte 1: L’amore per la saggezza - Esempi di vita ed esercizi spirituali dei filosofi dell’antica Grecia: L'oracolo di Delfi 

  2. Parte 2: L’amore per la saggezza - Esempi di vita ed esercizi spirituali dei filosofi dell’antica Grecia: La Filosofia antica

  3. Parte 3: L’amore per la saggezza - Esempi di vita ed esercizi spirituali dei filosofi dell’antica Grecia: Licurgo

  4. Parte 4: L’amore per la saggezza - Esempi di vita ed esercizi spirituali dei filosofi dell’antica Grecia: Socrate

  5. Parte 5: L’amore per la saggezza - Esempi di vita ed esercizi spirituali dei filosofi dell’antica Grecia: Epitteto

  6. Parte 6: L’amore per la saggezza - Esempi di vita ed esercizi spirituali dei filosofi dell’antica Grecia: Diogene "il cane

  7. Parte 7: L’amore per la saggezza - Esempi di vita ed esercizi spirituali dei filosofi dell’antica Grecia: Epicuro

  8. Parte 8: L’amore per la saggezza - Esempi di vita ed esercizi spirituali dei filosofi dell’antica Grecia: Proclo

  9. Parte 9: L’amore per la saggezza - Esempi di vita ed esercizi spirituali dei filosofi dell’antica Grecia: Pitagora

 

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