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Articoli e interviste su sciamanesimo e tensegrità Articoli e interviste su sciamanesimo e tensegrità

La visione in sogno del "Sole di Mezzanotte" nel sufismo iraniano - di Luciano Silva

Gli stati tra sonno e veglia come luogo di risveglio e iniziazione nella mistica sufi.

29/04/2024

“Il cuore non smentisce ciò che ha visto”

Corano - Sura della Stella (An-Najm – 1-62)

 

L’ascensione del mistico sufi verso la  Terra celeste di Hûrqalyâ, il polo cosmico rappresentato anche in altre tradizioni come la montagna cosmica dai sette stadi o sette cieli,  non segue itinerari rintracciabili nelle carte geografiche ma è un percorso interiore illuminato dalla propria luce che fa sembrare per contrasto il mondo esterno come tenebre. E’ il “sole di mezzanotte”, simbolo e immagine archetipica che compare in molti rituali delle religioni misteriche, immagine di quel polo e orientamento verso nord come riprende anche Suhrawardi nel suo incontro estatico di cui Hermes è l’eroe1. La “retta via” non è divagare a est o ad ovest, ma salire la vetta, verticalizzare, e ciò significa tendere al centro. Sull’idea e significato del polo e del centro ne ha parlato ampiamente anche René Guénon nel suo “I simboli della scienza sacra”. Ora di cosa si tratta questa interiorità di luce? In quale spazio si accede alla Terra celeste di Hûrqalyâ? Questa, ci ammoniscono i maestri sufi, non deve essere confusa con ciò che il pensiero moderno può facilmente ridurre in termini di soggettivismo o nominalismo e neanche con l’immaginario che il pensiero razionalista ha contaminato con l’idea di irrealtà. Non stiamo parlando di un mondo di concetti astratti o paradigmi universali di cui tratta la logica. L’astrazione razionale nei suoi “trionfi” lascia solo le spoglie mortali degli dèi e degli angeli. È il mondo delle immagini-archetipi, nel linguaggio della mistica sufi è incontrare il mondo dell’Angelo, dove gli archetipi qui non hanno nulla a che fare con le strutture junghiane dell’inconscio collettivo, dato che l’esperienza mistica nello spazio del sogno e della visione rimane una iniziazione individuale, non collettiva, che avviene nello stato di supercoscienza o sovracoscienza e non nell’inconscio, è luce su luce, non luce dal buio. La trascendenza individuale prevale contro ogni coercizione e collettivizzazione della persona e sarebbe assurdo spiegare il tipo di iniziazione individuale, proprio del sufismo ma anche della tradizione ermetica, riconducendolo a qualche istanza collettiva, dato che il suo sforzo è volto a liberare l’uomo interiore. La terra celeste di Hûrqalyâ non è neanche riducibile a pura soggettività, nel senso che intendiamo oggi con questa parola, ma si riferisce a una regione o un piano dell’essere che è anche organo di percezione.

Ma è proprio nel mundus imaginalis (‘âlam al-mithâl), come ci insegna il platonismo zoroastriano di Suhrawardi, che si accede a quello stato di sovracoscienza che supera il comune schema bidimensionale di opposizione tra conscio (la luce della coscienza) e inconscio (la notte dell’incoscienza), dove risplende il “sole di mezzanotte”, dove il giorno della coscienza fa da tramite tra la notte tenebrosa dell’incoscienza e la notte luminosa della sovracoscienza. Stiamo dunque parlando di quello spazio intermedio tra la notte e il giorno, tra il sonno e la veglia? Nei suoi viaggi visionari nell'Alam Al-Mithal, o regno immaginario, Suhrawardi ci riporta notizie di un “inframondo” situato tra il mondo dei sensi e il regno angelico oltre le forme terrestri. In questi spazi intermedi tra il sonno e la veglia si aprono portali verso luoghi di iniziazione, estasi e trasformazione. Gli antichi saggi riportano che al di là del mondo sensibile esite un altro universo dotato di figure e dimensioni, anch’esso esteso in uno spazio anche se non è riconducibile al concetto di spazialità che percepiamo nel mondo fisico. Nella terra mistica di Hûrqalyâ dalle città di smeraldo, situata sulla vetta della montagna cosmica e designata dalle tradizioni islamiche come montagna di Qâf, avviene l’incontro. Qui l’uomo, nella sua ascesa, incontra in uno stato di sogno o di veglia la Natura Perfetta, la Guida di Luce, raggiungibile al centro ovvero in un luogo di tenebre ma rischiarato dalla pura luce interiore. Suhrawardi indica la Natura Perfetta allo stesso tempo come Generante e Generato, il testimone contempla sé stesso ovvero il contemplante diviene in contemplato, situazione espressa dallo stesso Eckhart quando dice “Lo sguardo attraverso cui lo conosco è lo stesso sguardo attraverso cui mi conosce”. L’ascensione dei ricercatori nella “Montagna Sacra” del film di Jodorowsky si conclude con il ritrovare in cima nient’altro che sè stessi, il riconoscimento della natura divina che c’è in noi dopo una lunga inevitabile ricerca fuori di noi causata dalla nostra cecità. La luce si rivela dopo che abbiamo scalato la montagna e superato l’illusione proiettata dalle nostre stesse ombre. Una guida o un maestro spirituale appare. La stessa figura la si ritrova nell’ermetismo con il nome di “Io celeste” o l’Alter Ego, il compagno eterno, dunque ognuno di noi ha una controparte celeste che fa da guida verso l’ascensione alla montagna sacra. Dice Corbin: “Il ritorno verso l’Oriente è l’ascensione della montagna di Qâf, la montagna cosmica (o psicocosmica), la montagna delle città di smeraldo, sino al polo celeste, il Sinai mistico, la Roccia di smeraldo. Le opere maggiori di Suhrawardi precisano meglio la tipologia: quell’Oriente è la Terra mistica di Hûrqalyâ, la Terra lucida situata al nord celeste. È là che avviene l’incontro tra il pellegrino e colui che lo generò, la Natura Perfetta, l’Angelo personale che gli rivela la gerarchia mistica di tutti coloro che lo precedono nelle altitudini sovrasensibili e che, indicando col gesto di colui che lo precede immediatamente, dichiara: ”2. L’incontro con la Natura perfetta, con la Guida personale, con il guardiano, il testimone celeste (shâhid) con il “pastore”, figura che richiama l’incontro nel cammino iniziatico ermetico dell’adepto con Poimandres (pastore) come Noûs celeste, segue nei vari racconti sempre le stesse fasi: il raccoglimento del visionario, l’apparizione e infine il riconoscimento.

Nel raccoglimento, il visionario si ritira al centro di sé stesso, abbandona i sensi fisici ed entra in uno stato di sogno o di estasi. Il centro è inteso come quello spazio intermedio tra veglia e sonno (o anche tra sonno e veglia, dunque ipnopompico o ipnagogico), questo è il luogo della visione.

In questo spazio avviene l’apparizione, il sognatore chiede: “Chi sei tu?”. La Natura Perfetta, l’Hermes di Suhrawardi (scelto non a caso, data l’importanza di Hermes come messaggero nei sogni riportata dalla onirologia greca), il Testimone del Cielo, la Guida personale sovrasensibile, il Poimandres (pastore) che dice: “Io sono con te ovunque”.

Infine, il riconoscimento, vinte le potenze arimaniche del dubbio e dell’oblio (scalata la montagna), la Notte luminosa, la luce nera di cui parlano i sufi, il contemplante riconosce nel testimone la sua stessa natura luminosa, la sua stessa particella di luce divina cercata sino ad ora, il riconoscimento del “simile da parte del simile”, ricongiunzione che è il momento culminante dell’iniziazione personale. E’ la stessa funzione del testimone di contemplazione: il testimone, la guida, ci aiuta a riscoprire la luce che c’è in noi ed è questa stessa luce che si congiunge, per principio appunto omeopatico, con la luce celeste.

Ecco che il testimone, la Natura Perfetta, il “pastore”, dice: “Io sono te, tu sei me”. Qui la rivelazione. Enunciato che ritroviamo in Empedocle col suo principio che “Il fuoco è visto soltanto dal fuoco”, o nel Corpus Hermeticum dove il Nous dichiara a Hermes:”Se non ti rendi simile a Dio non puoi comprendere Dio”; in Plotino (Enneadi VI), “Non si vede il Principio se non attraverso il Principio”. Se dunque una luce si sprigiona dalla Terra al Cielo, dal Cielo alla Terra apparirà una luce celeste che si incontrerà con questa, nel mezzo.

Suhrawardi ha distinto tre distinti livelli di sogno. L'importanza e l'affidabilità di ciò che è sperimentato nel sogno dipende da quale parte di te ti porta lì.. Nei sogni chiari o "rivelazione libera" [kashf] la tua anima [ruh] va in viaggio oltre il corpo o ricevi una visita. I viaggi della tua anima ti portano ad altre realtà, o nel futuro, "Con l'occhio dell'anima libera, dall’immaginazione, una persona contempla nei sogni lo stato delle cose che è ancora nascosto". In questa condizione, il sognatore può avere una preconoscenza accurata degli eventi futuri e della vera chiaroveggenza.

"Dopo la separazione dal corpo, l'anima conosce anche le piccole cose ascoltate e viste di questo mondo." Nei sogni chiari, il sognatore diventa un viaggiatore nel tempo o uno spettatore remoto. Questa è una pratica che può essere sviluppata negli stati di veglia di coscienza alterata, o mukashafa. stati di coscienza che incontriamo nell’esperienza dei mistici così come degli sciamani. Nella seconda categoria di sogni Suhrawardi include i "sogni simbolici" e "rivelazioni fantasiose". Ora è il sé inferiore, nafs, piuttosto che l'anima, ruh, che è responsabile di ciò che viene visto e sperimentato. La visione è ampliata dai "ornamenti eleganti" fatti di appetiti e desideri. I paesaggi visti in tali sogni sono "le fasi della lussuria". Per l'interpretazione qui è necessario separare il messaggio dal suo travestimento, si tratta della parte “bassa” dell’anima, dove albergano desideri inespressi o non soddisfatti. La terza e più bassa categoria dell’esperienza onirica, secondo la gerarchia di Suhrawardi, è "pura fantasia". Sei caduto così in profondità nell'appetenza che i "pensieri sensuali" governano il corpo dei tuoi sogni e non hai alcuna possibilità di uscire dai bassifondi del piano astrale inferiore. Sei "velato dal considerare il mondo nascosto". La parte di anima legata intimamente ai bisogni del corpo fisico e ai suoi appetiti.

È una lettura difficile per chi non è preparato al linguaggio esoterico ma viene reso accessibile attraverso i libri di Henry Corbin, il grande studioso francese dell'Islam mistico. Suhrawardi è noto come Shaikh al-ishraq, il maestro dell'illuminazione. Ha fondato le tradizioni antiche persiane, ermetiche e platoniche insieme all'Islam mistico e ha incoraggiato i suoi studenti a seguire un percorso di esperienza diretta del sacro. È anche conosciuto come Shaikh al-Maqtul "il maestro assassinato", perché nel 1191 fu giustiziato con l'accusa di eresia dagli assassini giudiziari dell'Islam della Sharia, che temevano questo uomo saggio e pacifico rispetto all'erede giovane al califfato.

Najm Kobra, originario del Khwārizm, Najm al-Dīn, abbandonò i suoi studi di teologia e seguì in Egitto l'insegnamento mistico di Rūzbihān al-Wazzān al-Misrī, discepolo di Suhrawardi, ma fu solo su esortazione di Bābā Faraj Tabrīzī che decise di adottare in pieno la vita da sufi. Nel suo Risalat al-insan al-kamil (Trattato dell’uomo perfetto di ‘Ali Hamadani’) dice che è quando la sostanza di luce è cresciuta in noi essa diviene un Tutto in rapporto al suo omologo celeste. Allora, per legge di attrazione o omeopatica, è la sostanza di luce del Cielo che desidera te, perché è la tua sostanza di luce ad attrarla ed essa scende verso di te. Scrive Najm Kobra: “Ogni volta che sale da te una fiamma, ecco che una fiamma scende verso di te dal cielo”. Questo è il segreto del cammino mistico. Tutto avviene non nel mondo percepibile dai sensi esterni, né nell”immaginario”, ma nel mundus imaginalis, il mondo immaginale accessibile nello stato di sogno vigile dove il corpo di sogno accede e sperimenta le facoltà nascoste nella sua fisiologia sottile, le latifa, organi o centri sottili, paragonabili ai chakra del buddhismo mahayanico, centri di coscienza e al contempo organi di percezione sovrasensibile. Per Najm Kobra l’anima-coscienza è posta nello spazio intermedio tra la mancanza di luce, tipico dello stato di infracoscienza, l’ombra della Tenebra arimanica, e l’invisibilità che può essere dovuta anche ad eccesso di luce, all’abbagliamento provocato da una prossimità eccessiva. L’uomo è tra “due” anche per Ibn ‘Arabi, tra l’essere e il non essere, tra Luce e le Tenebre. Ma la luce che illumina ogni cosa non può essere essa stessa visibile e dunque l’invisibilità viene descritta da Kobra come “luce nera”, preorigine di tutto il visibile, ovvero di ogni luce. Nel primo caso l’invisibilità è data dall’assenza di luce nello stato inconscio, nel secondo l’invisibilità è data dalla presenza troppo vicina della luce, proprio dello stato di sovracoscienza o transcoscienza, e da qui la sua dimensione si annuncia simbolicamente con la “luce nera”, il “sole di mezzanotte”, la luce dell’ipseità divina in quanto luce che rivela, che fa vedere. E in quanto fa vedere non può essere vista. E questa è una esperienza individuale, è individualmente che ogni anima deve superare sia le ombre collettive che la propria ombra per accedere, nel mundus imaginalis dei sogni e della visione, al “sole di mezzanotte”.

 

Note

1. Henry Corbin, “Suhrawardì, L’uomo e l’Opera”, Luni Editrice

2. Henry Corbin, “L’uomo di luce nel sufismo iraniano”, Edizioni Mediterranee

Per ulteriori approfondimenti, vedi anche Henry Corbin, "Corpo spirituale e Terra Celeste - Dall'Iran mazdeo all'Iran sciita", Adelphi

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